Valutazione di impatto ambientale: l'Italia nei guai con la UE

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La segnalazione giunge dalla associazione ambientalista Gruppo di Intervento Giuridico di Cagliari che sull'argomento ha diffuso la seguente nota : "La Commissione europea, con lettera di costituzione in mora n. 2019/2308, ha affermato la “non conformità della legislazione italiana con la direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e private”, invitando l’Italia al corretto adeguamento della propria normativa interna in materia. Come si ricorderà, la direttiva n. 2014/52/UE ha integrato e modificato la direttiva n. 2011/92/UE sulla valutazione di impatto ambientale (qui il testo coordinato delle direttive sulla V.I.A.).  

Nonostante reiterate e argomentate osservazioni inviate a Governo, Camera dei Deputati e Senato da parte di associazioni e comitati ambientalisti, purtroppo il decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 venne emanato con numerose carenze in proposito ed è in vigore dal 21 luglio 2017. Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus inoltrò in merito (17 agosto 2017) un ricorso ai sensi dell’art. 258 del Trattato per il funzionamento dell’Unione europea (TFUE) alla Commissione europea e alla Commissione “petizioni” del Parlamento europeo perché verificassero la piena rispondenza o meno del decreto legislativo n. 104/2017 alla normativa comunitaria sulla V.I.A. Numerose altre associazioni, comitati, singole persone effettuarono analogo ricorso.  

Ora, a distanza di anni, la Commissione europea procede per il mancato corretto recepimento nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria sulle valutazioni di impatto ambientale. Diversi altri Stati membri (Lituania, Danimarca, Svezia, Grecia, Austria, Lussemburgo, Croazia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia) sono stati caldamente invitati a rendere conforme la propria normativa nazionale alla normativa comunitaria in materia di valutazione di impatto ambientale, pena le conseguenze della violazione della disciplina europea, ma questo non deve consolare. In origine le sentenze del Giudice comunitario avevano solo valore dichiarativo, cioè contenevano l’affermazione dell’avvenuta violazione della normativa comunitaria da parte dello Stato membro, senza ulteriori conseguenze. 

 Da diversi anni non più, possono contenere pesanti conseguenze pecuniarie per lo Stato membro trasgressore. Se non viene rispettata la normativa comunitaria, la Commissione europea – su ricorso o d’ufficio – avvia una procedura di infrazione (art. 258 Trattato U.E. versione unificata): dopo la lettera di costituzione in mora, se lo Stato membro non si adegua ai “pareri motivati” comunitari, la Commissione può inoltrare ricorso alla Corte, che, in caso di violazioni del diritto comunitario, dispone sentenza di condanna che può prevedere una sanzione pecuniaria (oltre alle spese del procedimento) commisurata alla gravità della violazione e al periodo di durata. 

Le sanzioni pecuniarie conseguenti a una condanna al termine di una procedura di infrazione sono state fissate recentemente dalla Commissione europea con la Comunicazione Commissione SEC 2005 (1658): la sanzione minima per l’Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell’infrazione. Al 12 febbraio 2020 sono ben 82 le procedure di infrazione europea in corso avverso l’Italia, di queste 21 riguardano l’ambiente. L’esecuzione delle sentenze della Corte di Giustizia per gli aspetti pecuniari avviene molto rapidamente: la Commissione europea decurta direttamente i trasferimenti finanziari dovuti allo Stato membro condannato: in Italia gli effetti della sanzione pecuniaria vengono scaricati sull’Ente pubblico territoriale o altra amministrazione pubblica responsabile dell’illecito comunitario (art. 16 bis della legge n. 11/2005 e s.m.i.). Insomma, le condanne arrivano e vengono pure eseguite. Ovviamente gli amministratori e/o funzionari pubblici che hanno compiuto gli atti che hanno sostanziato - conclude Grig -l’illecito comunitario possono risponderne in sede di danno erariale.