La copatza politica di Alghero: Uno sgabello catalano in attesa di destinazione

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  Nel vivace teatro della politica algherese, l'attuale scena pre-elettorale si presenta ferma, immobile, quasi uno stallo alla messicana. Ecco che il tavolo della politica locale, già più simile a uno sgabello malandato di quelli che si trovano abbandonati in soffitta, sembra pronto ad ospitare i suoi decisori, anche se conoscendo i ritmi algheresi, è tutt'altro che improbabile che non rimanga vuoto per ancora un po' di tempo.

  A due mesi dalle elezioni amministrative, la situazione politica di Alghero si può riassumere in un coro di "non so", "è troppo presto", e "dobbiamo aspettare dopo Pasquetta", come se le strategie elettorali dovessero necessariamente attendere il giudizio delle uova di cioccolato e delle gite fuori porta. Tutti non si sbilanciano, si dice che a fine aprile si saprà qualcosa, con calma.

  In questa atmosfera di attesa, tra un consiglio comunale che si riunisce con la frequenza di un'eclissi solare e nel quale si discute di colline ribaltate e astronavi parcheggiate in via Punta di Cristallo, sembra che solo l'arrivo di extraterrestri potrebbe infondere nuova vita alla politica locale. Poi c'è stato il bordello del parco di Porto Conte, dimissioni di qua e di là, spostamenti di dirigenti e via discorrendo

  L'ex Rastaman lascia il piccolo e sgangherato tavolo comunale per avventurarsi verso orizzonti più luccicanti, forse in cerca di un seggio più comodo o di avventure politiche che vadano oltre il mero scambio di accuse e alleanze precarie. Nel frattempo, il centrosinistra affila le unghie sulle mura Quarter, pronto a reclamare il potere in una città che sembra averlo dimenticato sul comodino, accanto ai sogni di grandezza e ai progetti da realizzare. 

  Lu Sindic, il cunctator dell'Alguer, che da fiero rappresentante dei quattro mori si è trasformato in un fratello di Giorgia, naviga in acque turbolente dopo la batosta elettorale. Poi c'è la Lega che sembra affondare sotto il peso delle proprie contraddizioni e promesse evaporate come nebbia al sole. E mentre l'Italo algherese, con aria di mistero, si dice pronto a servire il partito, nessuno sembra sapere esattamente in quale direzione stia remando la sua barca. Poi c'è l'UDC con l'avvocato di fiducia che attende anch'egli con placida pazienza. Qualcuno ha avvistato la preparazione di una lista civica capeggiata da Point e Mari ma si sa poco o nulla, almeno qualcosa si sta muovendo nell'immobilismo generale.

  Ma non è tutto grigio in questo scenario. I forzisti hanno fatto incetta di voti alle regionali, sono carichi a molla, insieme a loro i riformatori sardi, galvanizzati da un risultato elettorale che sa di rivincita, sono già in piena campagna elettorale, pronti a tessere alleanze, già a passeggio alla ricerca di consensi.

  E mentre il centrodestra sardo si appresta a invocare il divino in processione a Oristano in una riunione programmatica, forse nella speranza che qualche preghiera possa sortire effetti anche sulle urne di Alghero, si moltiplicano i sospetti che la città sia diventata, ancora una volta, una pedina in un gioco ben più grande, orchestrato dalle menti cagliaritane. 

  In questo scenario, gli algheresi, descritti un tempo da Carlo V come "pocos, locos e male unidos", sembrano osservare con una miscela di rassegnazione e divertito cinismo le evoluzioni dei loro politici, pronti a scommettere su quale sarà la prossima mossa in una partita che, per quanto caotica, non smette mai di affascinare e, in un certo senso, di unire. In fondo, la politica ad Alghero è come una lunga copatza di granelli come diceva Junivelt: un misto di ingredienti improbabili che, contro ogni previsione, riesce a volte a sorprendere per il suo sapore unico. 

  Resta da vedere se, questa volta, gli chef riusciranno a trovare la ricetta giusta per convincere i cittadini che vale la pena partecipare al banchetto, o se, come accade troppo spesso, quasi la metà di essi sceglierà di restare a casa, disillusi da un menù che sembra ripetersi senza offrire vere novità. In questa città dove la storia si intreccia con la leggenda, e dove ogni angolo racconta di popoli, conquistatori e culture che si sono succeduti lasciando un segno indelebile, la politica assume toni quasi epici. 

  Eppure, la quotidianità degli algheresi sembra muoversi su binari paralleli, spesso distanti dalle aule consiliari e dalle promesse elettorali. Questo distacco, tuttavia, non annulla l'attaccamento profondo alla loro città, un sentimento che trascende le vicissitudini politiche e che mantiene vive le speranze di un futuro migliore, nonostante tutto. Il richiamo alla frase di Carlo V suona quasi come un monito, ma anche come un'affettuosa presa in giro di se stessi. 

  Gli algheresi sanno di essere "pocos, locos e male unidos", eppure in questa descrizione si cela forse la loro più grande forza: l'unicità di un popolo che, nonostante le divisioni e le contraddizioni, continua a credere nel potenziale della propria terra. In attesa delle decisioni definitive, tra astronavi immaginarie e sgabelli politici vacillanti, Alghero vive. Le strade e le piazze si riempiono delle voci di chi ancora crede che cambiare sia possibile, di chi, tra un caffè e una passeggiata sul lungomare, discute animatamente di come rinnovare il volto della città, senza perdere quell'essenza che la rende unica. 

  E così, mentre i politici meditano e i cittadini sospirano, sorridono o si indignano in ultimo per l'affaire Calabona, la vita ad Alghero scorre, ricca di contraddizioni ma anche di possibilità. Forse, alla fine, sarà proprio questo spirito indomito, un po' folle e profondamente unito nell'amore per la propria terra, a scrivere il prossimo capitolo della storia algherese, un capitolo in cui la politica sappia essere all'altezza delle aspettative e dei sogni dei suoi cittadini. Fino ad allora, il sipario resta alzato su questa commedia umana, in attesa del gran finale, o forse, di un nuovo inizio.