La Mountain Wilderness ha messo a disposizione degli inquirenti in
questi giorni, la cronostoria della costruzione della Via Ferrata
Cabirol nel Parco Regionale di Porto Conte, Capo Caccia, Alghero (SS).
La richiesta di informazioni inviata agli enti, nel 2016 e nel 2017,
da parte delle associazioni Gruppo di Intervento Giuridico e Mountain
Wilderness aveva messo in luce l’assenza di un progetto depositato
presso il Comune e delle necessarie autorizzazioni per la costruzione
dell’impianto sportivo.
La ricostruzione storica della Mountain Wilderness ha evidenziato come
la via ferrata sia stata costruita dopo il 2007 e non prima della
nascita del parco e dell’istituzione dell’area SIC (comunque già pSIC
dal 1995), come si stava asserendo nei social media e articoli dei
principali quotidiani sardi.
A dimostrarlo è lo stesso autore della via ferrata, Corrado Conca,
con la sua pubblicazione Arrampicare ad Alghero, 2^ edizione 2007. In
quell’anno il percorso percorreva solo in parte la porzione superiore
della parete ed era in cantiere. Una volta che i cavi e le funi
metalliche si arrestavano, era indispensabile per proseguire calarsi
più in basso ripetutamente, facendo uso di una corda lunga 70 m che
andava trasportata di volta in volta. Il cantiere è proseguito sino al
2010, quando infine il percorso alpinistico è stato allungato di
ulteriori 350 m di installazioni fisse, collegando il ripiano
superiore con quello inferiore attraverso un abbondante inserimento
nella roccia di gradini metallici.
Negli anni successivi, sino al 2018, sono stati inseriti ancoraggi
permanenti per l’arrampicata sportiva su una parete vicina e fatte
ulteriori modifiche alla ferrata, per le quali, in ogni caso,
sarebbero state necessarie ulteriori autorizzazioni.
E’ questa, dati alla mano, la documentazione raccolta dalla Mountain
Wilderness che è stata messa a disposizione degli inquirenti.
Per questo impianto sportivo, che si ricorda è un opera di ingegneria
civile, non esiste un progetto e neanche un “progettista” ma solo il
responsabile della costruzione in una delle aree più protette della
Sardegna. Avere realizzato qualcosa non vuole dire obbligatoriamente
avere le abilitazioni o le competenze per realizzarla. La
progettazione di opere simili viene affidata a un team
multidisciplinare di figure professionali in grado di valutare la
parte strutturale (ingegneri e geologi) e la componente ambientale
(biologi, naturalisti). L’abilitazione ai lavori su fune, che viene
rilasciata dal Collegio Nazionale delle Guide Alpine, permette, in
caso venga aggiornata regolarmente, solo l’esercizio del lavoro
esecutivo come operaio specializzato.
In un caso identico a quello di Capo Caccia, una ferrata abusiva sul
Monte Trevine all’ interno del Sito di Importanza Comunitaria “Monte
Penna, Monte Trevine, Groppo e Groppetto”, la struttura, pubblicizzata
sui social media come per bambini e famiglie, è stata posta sotto
sequestro dalla Polizia provinciale con infine la convalida da parte
dell’Autorità giudiziaria (Procura della Repubblica di Parma). Ci
domandiamo come non si possa tenere conto di quanto già avvenuto per
casi identici e delle possibili conseguenze.
Fatto forse ancora più grave di quello di Capo Caccia, dove la via
ferrata è stata realizzata su iniziativa privata, è quello della via
ferrata Giorrè di Cargeghe. Quest’ultima è stata progettata e
realizzata nel 2013 ma con finanziamenti pubblici e in una zona
iscritta nell’Inventario dei Fenomeni Franosi d’Italia, studiata sin
dal 1991 per rischio e pericolo di frane, che necessitava di ben altre
autorizzazioni.
Mentre si sta pensando con un tavolo tecnico provinciale a come
mettere la Via Ferrata Cabirol in sicurezza, data la pericolosità
strutturale messa in luce dalle perizie delle Guide Alpine, bisogna
ricordare che in un’area parco la prima premura dovrebbe essere quella
di tutelare l’interesse delle specie che ci vivono e proteggerle da
eventuali abusi.
Le pareti di Capo Caccia non dovrebbero essere considerate solo come
il terreno ideale per un parco giochi, ma primariamente andrebbe
considerato il motivo per cui tali riserve sono state istituite.
Ricordiamoci che sono zone di protezione speciale proprio perché è il
luogo in cui abitano specie protette considerate a rischio di
conservazione dalla Comunità Europea. Parliamo della stessa Comunità
Europea che sta ora finanziando il progetto LIFE Under Griffon Wings a
Capo Caccia grazie al quale in questi giorni verranno introdotti 60
esemplari di Grifoni dalla Spagna con l’intento di aiutare la
popolazione autoctona. Le rupi sono il rifugio per queste e molte
altre specie del parco, rare e non, che in questi ambienti
inaccessibili svolgono attività primarie della loro vita come il
riposo e la riproduzione, ma non esitano, spaventate, ad abbandonare
le uova e i piccoli sentendosi in pericolo.