L'unico movimento di rimozione dei materiali bruciati all'interno del
palazzo di via Vittorio Emanuele ad Alghero, quello incendiatosi nel
luglio del 2017, è stato quello di un ladruncolo sorpreso da una
pattuglia di poliziotti del commissariato di Polizia mentre su un
carrello della spesa portava via monopattini, biciclette e altri
oggetti tutti naturalmente anneriti e bruciati dal fumo e dal calore
delle fiamme. Entrare è facile: ci sono un po di transenne ma
soltanto per figura.
Di guardiania neanche a parlarne.
Sembra invece difficile l'ingresso dei procedimenti di consolidamento
strutturale, dei periti, e dall'inizio della riqualificazione e
rientro alla normalità. Niente è avvenuto di tutto ciò a poco più di quattro mesi dal giro di
boa di due anni dall'incendio. Un evento spaventoso che
fortunatamente non ha creato vittime ma ha provocato una situazione di
disagio
diffusa tra tutti coloro che vi abitavano, una quarantina di famiglie,
tutte costrette a lasciara la propria abitazione e a cercare soluzioni
di fortuna.
L'immobile annerito dal fumo è ora un autentico monumento alla legnosa
gestione di situazioni di questo genere da parte degli apparati
burocratici: tribunali, avvocati, compagnie di assicurazione,
istituzioni pubbliche di controllo, periti di giustia e di parte. Un
vespaio gigantesco nel quale le vere vittime di questa situazione
appaiono impotenti e destinate ad attendere ancora chissà quanti anni
prima di avere giustizia e rientrare nelle proprio abitazioni.
Qualcuno, nel frattempo, è passato a miglior vita.