La difesa dell’identità e delle diversità culturali quali elementi
portanti del dialogo tra i popoli. «Perché i diritti culturali sono
parte dei diritti fondamentali dell’uomo che devono essere preservati,
anche per il rispetto della dignità umana». E nella ricerca di questo
dialogo c’è la necessità di creare reti, network e ponti per
facilitare l’incontro tra i popoli che tenga conto dei valori per
generare inclusione.
Sabato si è aperto centrando, sin da subito, i temi portanti
dell’appuntamento che, dal 2015 a oggi, ha messo il paese di pescatori
al centro del bacino Mediterraneo, rappresentando una vera e propria
occasione di apertura e dialogo tra popoli. La quinta edizione di
Dialogando, che ha trovato nelle sale del museo della Tonnara la sua
location ideale, ha messo attorno al tavolo esperti di cooperazione,
studiosi, docenti universitari ed esponenti religiosi che hanno dato
vita a un convegno che ha concentrato l'attenzione su religione,
dialogo interculturale e interreligioso quindi sul ruolo della donna.
Al centro anche argomenti quali la diplomazia, il paecekeeping, il
ruolo delle reti di supporto per le donne e le vittime di tratta,
quindi l'università nell'educazione e nella cooperazione.
Ad aprire il convegno è stato il primo cittadino Antonio Diana che ha
ricordato l'importanza di Dialogando, nato nel 2015, in un periodo
complesso e caratterizzato dagli attentati terroristici in Francia.
E a rompere il ghiaccio per prima, nella sezione moderata dal
direttore della Nuova Sardegna Antonio Di Rosa, è stata Anna Paolini,
direttore Unesco a Doha, che nel focalizzare il ruolo dell'agenzia da
lei rappresenta in Qatar, ha ricordato come nel mondo oltre 70 milioni
di persone, a causa di particolari condizioni economiche e politiche,
vivono lontani dai loro paesi di origine. Di questi 70 milioni circa
41 milioni sono sfollati, 36 milioni sono rifugiati e circa 3,5
milioni richiedenti asilo. «È un momento particolare – ha detto – in
cui abbiamo visto crescere atti di estremismo religioso, di violenze,
di odio verso le minoranze etniche e religiose. Si parla di conflitti
di ordine nazionale e internazionale che aggiungono povertà. A questi
si aggiungono disastri di origine naturale, movimenti interni di
persone, atti di terrorismo e pandemia».
Il ruolo dell'Unesco è quello di favorire la pace e la sostenibilità.
La difesa della pace deve iniziare dal diaologo tra i popoli, ha detto
ancora la rappresentante dell'Unesco che ha ricordato alcuni progetti
particolari sostenuti dall'Agenzia e incentrati sulla promozione
culturale, interreligiosa, l'educazione, la comunicazione e la
prevenzione degli estremismi.
Un dialogo che l'arcivescovo di Sassari, monsignor Gianfranco Saba, ha
avvicinato al concetto di casa e dell'abitare «che – ha affermato –
significa prendersi cura, della persona, dell'ambiente. Ecco allora
che non possiamo non abitare e la casa è la cosa tangibile del nostro
essere, che ci lega al prenderci cura, come fatto distintivo
dell'essere umano. La capacità di abitare interiormente prepara
l'ambiente attorno a noi, ci interpella su come stiamo strutturando la
nostra vita».
L'abitare quindi ci pone di fronte agli altri, implica tensioni verso
un processo culturale che deve portare l'uomo a superarli. E sebbene
possa sembrare strano, una delle vie per sviluppare il dialogo è
l'esperienza del silenzio. «Nel silenzio matura la parola vera – ha
detto ancora monsignor Saba – e la parola è una risonanza del
silenzio».
A sottolineare la necessità di un dialogo laico è stato l'arcivescovo
di Damasco Jihad Mtanos Battah che si è concentrato sul dialogo
religioso e interculturale in Siria.
Un concetto quello dell'uguaglianza che è stato ribadito da Amal Al
Masri, rappresentante del forum libanese delle donne, che ha ricordato
come le donne arabe siano ancora discriminate e non possano
partecipare alla vita politica, fatte alcune sparute eccezioni.
Di dialogo interreligioso, interculturale, interlinguistico ha parlato
Fabrizio Lobasso, console d'ambasciata e Capo ufficio Africa Orientale
e Corno d’Africa, sottolineando i progetti realizzati in Sudan.
Accanto al dialogo un ruolo importante lo gioca la cooperazione. E
questo è stato il tema della seconda parte del convegno che ha visto
protagonista l'Università di Sassari impegnata nell'attivazione di
nuovi corsi nei Paesi in via di sviluppo.
Nell'ambito della cooperazione decentrata, interessante il progetto
presentato da Giustina Casu dell'Associazione di volontariato Acos che
da 12 anni si occupa del supporto alle donne e ai minori vittime di
tratta. «Dal 2007 al 2012 abbiamo contattato 167 donne – ha detto – in
gran parte provenienti dalla Nigeria». Per la maggior parte si tratta
di donne sfruttate dal punto di vista lavorativo e sex-workers.
«Dal 2016 al 2019 il numero si è ridotto a 137. Questo – ha ripreso –
può far pensare che il fenomeno sia in diminuzione o superato, ma non
è così.
Il rachet sta spostando le donne negli appartamenti, non
facilmente raggiungibili dai volontari delle unità di strada che, con
difficoltà hanno contatto con le donne per far conoscere quali siano i
loro diritti di salute», ha concluso.
Infine spazio anche all'esperienza locale stintinese, rappresentata
dai ragazzi di Stintino Holidays che con Fabrizio Contini ha spiegato
il significato del progetto turistico e non solo, in particolare di
quello fotografico dedicato a Hospitaly has no boundaries. Un progetto
– è stato illustrato – volto a creare dialogo con gli stranieri e
attraverso il quale scambiare esperienze e tradizioni.
Il convengo è stato organizzato dall'associazione il Tempo della
Memoria in collaborazione con il Comune di Stintino, il Mut, il Centro
studi sulla civiltà del mare, l'Università di Sassari, il corso
universitario sulla Sicurezza e cooperazione internazionale e la
Fondazione Accademia.
Al convegno, durante il quale sono state proiettate le immagini
realizzata da Mauro Fancello sull'Asinara ai tempi del carcere e sulla
Vela latina degli anni Novanta.