Se lo cercate, è lì nel suo studio di via Pirandello. Dalla mattina
alla sera, completamente rapito dalla sua arte. Ha 52 anni, è un
artista, non ha una vita disordinata; anzi, affronta il quotidiano con
dedizione.
Dal tornio al colore; dallo schizzo all’opera finita. E ritorno. In un
movimento circolare che disegna il raggio di una ricerca perpetua, mai
paga, e che descrive un mondo: quello di Marco Silecchia, da Sassari.
La terra che l’ha visto nascere l’ha nutrito e cresciuto; ne ha
guidato i primi passi, lo ha ispirato, e lo ispira.
Tutto mescolato sapientemente, perché Marco Silecchia non improvvisa;
le sue opere vengono fuori da mani che “hanno studiato”; sono plasmate
da chi, prima di passare al tornio, era sui libri, sui banchi
dell’Accademia.
E che prima ancora aveva potuto attingere alla
sapiente arte del padre Giuseppe, a sua volta allievo di Eugenio
Tavolara.
Nelle sue recenti creazioni, Silecchia intende restituire all’Arte la
dignità della parola; la generosità di cui è connaturata: dare alla
luce un’opera equivale a partorire, a lasciare nel mondo - e al mondo
- una parte di sé, che ci sopravvivrà... Significa fare un dono
all’umanità intera. Da qui l’idea di puntare sulla rappresentazione di
arche.
Le arche sono nate dall’idea del “salvataggio stesso dell’arte”; per
costruirci attorno il pensiero di (tras)portare l’arte a un livello
superiore, tra i flutti del nichilismo contemporaneo.
Era il 2015 e allora vi hanno trovato posto la flora e la fauna tipica
sarda, con un Noè-guerriero ad accompagnarli. Poi, via via, gli
animali sono scomparsi, l’idea si è evoluta e, un po' alla volta, a
bordo, è salito chi, nel momento creativo, ha ispirato di più il suo
creatore. “Ma si tratta di forme libere, di sfogo personale – continua
lo scultore sassarese -.
Quello che cerco è di dare una ‘struttura
formale’ all’energia che irradia la materia. La forma dei miei
vasi-scultura, per esempio, è filosofica: la materia è una
circostanza, un’incombenza inevitabile e plasmarla è un dovere da
assolvere. Ma l’arca, specialmente, non cede al compromesso, né
economico né politico: c’è totale libertà. Una libertà che ho
conquistato negli anni e che spesso ‘pago’ con l’isolamento, anche
fisico. L’arca è, in un certo senso, un luogo d’incontro: le forme
nascono, pronte a farsi accogliere da qualcuno”. Perché, in fondo,
gli artisti sono come gli antichi stregoni, sono alchimisti. Dalla
materia inerte scovano l’oro.