I rappresentanti delle associazioni ambientaliste Carmelo Spada per il
Wwf, Graziano Bullegas per Italia Nostra, Stefano Deliperi per il
Gruppo di intervento Giuridico, Francesco Guillot per la Lipu, Daniele
Solinas per il Codacons e Domenico Scanu per Medici per l’Ambiente
-ISDE hanno inviato una lettera al Presidente della Giunta Cristian
Solinas, all’Assessore all’Industria della Ras Anita Pili e
all’assessore all’Ambiente della Ras Gianni Lampis per sottolineare
che: “l’anacronistica mobilitazione di politici e sindacati sardi per
impedire la phase out delle centrali a carbone della Sardegna,
stabilita lo scorso novembre dal decreto 430 del ministero
dell'Ambiente, è in continuità con gli scioperi e le proteste in corso
per la riapertura degli impianti industriali di Portovesme, attività
antieconomiche e fortemente inquinanti che negli anni hanno
condizionato la vita dell’intero Sulcis-Iglesiente, hanno
desertificato e inquinato, hanno creato una situazione sanitaria tra
le più critiche e preoccupanti della Sardegna e disincentivato la
nascita di attività economiche sostenibili e di economia circolare”.
Inoltre i rappresentanti delle sei associazioni hanno rimarcato che:
“ i dati sanitari relativi alle malattie e alle morti prematuri legate
alle emissioni inquinati con ricaduta locale, pur essendo richiesti
dalla programmazione Europea, non vengono calcolati. La scarsa
conoscenza di tali tematiche è sconcertante e al tempo stesso
inaccettabile in uno Stato civile in cui si deve tutelare il benessere
dei propri cittadini”. I rappresentanti delle associazioni
ambientaliste incalzano: “la Sardegna non si smentisce mai, è sempre
in ritardo, come sostiene Bachisio Bandinu nel suo libro “Noi non
sapevamo”: è stata in ritardo rispetto alle scellerate scelte
dell’industrializzazione petrolchimica, pagando un altissimo prezzo in
termini di inquinamento dell’ambiente e di salute dei cittadini e, lo
sarebbe ancora oggi nella scelta di costruire in Sardegna un inutile
metanodotto e proseguire con questa battaglia di retroguardia per
impedire la chiusura delle centrali a carbone il cui stop è previsto
per il 31 dicembre del 2025.”
Gli ambientalisti sardi continuano nella loro dissertazione
indirizzata ai rappresentanti delle istituzioni regionali: “La
decisione che si va delineando di spostare al 2030 la scadenza non
risolve il problema, semmai lo aggrava, nel momento in cui esiste uno
stretto legame tra le centrali inquinanti e le industrie energivore
altrettanto inquinanti.
Decidere oggi di chiudere le centrali a carbone significa scegliere
contestualmente di non riaprire la raffineria di bauxite della
Eurallumina e l’impianto di produzione di alluminio ex Alcoa, oggi
Syder Alloys. Inoltre l’alternativa al carbone non può cer- to essere
affidata ad un altro combustibile fossile come il gas, comunque
inquinante e non sostenibile, che necessiterebbe di un’obsoleta e
costosa infrastruttura il cui costo dovrà essere pagato per intero dai
sardi nelle loro bollette” - e auspicano - : “Decidere di accettare la
sfida posta dalla phase out dall'Accordo di Parigi sul clima del 2015
(Cop 21), dalla Comunità Europea e dall’Agenda dell’ONU per lo
sviluppo sostenibile significa incominciare da subito, in questi 5
anni e mezzo che ci separano dal 2025, a pianificare e attivare scelte
economiche mirate alla riconversione delle fabbriche antieconomiche ed
energivore che hanno vissuto negli anni grazie a un continuo drenaggio
e sperpero di denari pubblici e senza alcuna garanzia per il futuro”.
Per i rappresentanti di Wwf, Italia Nostra, Grig, Lipu, Codacons e
Medici per l’Ambiente ISDE: “Il vero lavoro non può essere quello di
riprendere a inquinare ma intraprendere le bonifiche dei siti
altamente inquinati dei Sin del Sulcis-Iglesiente, di Porto Torres,
della Maddalena, di Ottana e dei poligoni militari. Solo una minima
parte delle bonifiche risultano iniziate e portate a termine; stupisce
che non si alzi la voce unanime per chiedere occupazione in tal senso
con interventi che garantirebbero lavoro duraturo, perché tanto è il
lavoro da fare nella direzione di un futuro sostenibile per la
Sardegna, la qualità della vita e la salute dei sardi”. Le
associazioni ambientaliste Wwf, Italia Nostra, Grig, Lipu, Codacons e
l’associazione Medici per l’Ambiente ISDE insieme ai Comitati, i
ragazzi di Fridays For Future e numerosi esperti, da tempo mettono in
discussione il sistema energetico isolano: “basato essenzialmente
sulle energie di origine fossile e nel contempo presentano proposte
alternative e concrete perché la Sardegna abbandoni le energie fossili
e diventi la prima regione europea Zero CO2 e propongono che i
finanziamenti finalizzati alla metanizzazione della Sardegna siano
dirottati verso soluzioni alternative, concrete e attuabili per
l’isola, basate essenzialmente sul risparmio e sull’incremento
dell'efficienza energetica e la autoproduzione distribuita e condivisa
di energia da fonte rinnovabile seguendo le strategie per lo sviluppo
sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU e quella nazionale del 2017”.
“Il percorso ottimale - concludono gli ambientaliste sardi - che deve
seguire la Sardegna è quello di ridurre significativamente il surplus
energetico (oggi del 35% circa), di attivare significative politiche
di efficientamento, di risparmio energetico e di supporto
all’autoconsumo, come indicato dalla nuova Direttiva Europea del 24
dicembre 2018 sulle rinnovabili RED II (Renewable Energy Directive)
istituendo il primo riconoscimento giuridico dell'autoconsumo e delle
Comunità Energetiche che consente finalmente la produzione, l'accumulo
e la vendita di energia secondo un modello da “uno a molti” (one to
many).
Modello efficacemente applicato in Sardegna nei comuni di Benetutti e
Berchidda e in Italia dalla legge regionale n. 12 del 2018 del
Piemonte, sulla "Promozione dell'istituzione delle comunità
energetiche"