E’ un peso ingombrante, opprimente, quasi schiacciante quello della
burocrazia in Sardegna che, attraverso leggi, leggine, scartoffie,
regolamenti, cavilli, decreti, formulari e riforme, interferisce,
rallenta o blocca la maggior parte dei bandi, concorsi, provvedimenti
e atti a sfavore di aziende, imprenditori, dipendenti, produzioni e
sviluppo economico. Nonostante i notevoli passi avanti compiuti dalla
Regione negli ultimi anni, per tagliare tempi, carte e certificazioni,
il più delle volte inutili e già nelle disponibilità delle
Amministrazioni, i numeri dell’Isola parlano chiaro: 3.806 giorni per
arrivare al termine di un processo tributario e 1.378 per vedere la
conclusione di uno civile, 65 per essere pagati dalla Pubblica
Amministrazione (anche se solo pochi anni fa si poteva arrivare anche
a 36 mesi), 4 anni e mezzo, in media, per vedere conclusa un’opera
pubblica, senza tener conto, per esempio, della lunghezza delle code
negli uffici, dell’esiguità della pratiche svolte on line, dei
tentativi di corruzione o dell’indice della qualità del governo di un
territorio. E il conto è salatissimo: in media circa 7mila euro a
impresa, secondo calcoli nazionali di 3 anni fa.
“La burocrazia è un vero costo occulto cui i nostri imprenditori
devono sottostare ogni giorno – denuncia Antonio Matzutzi, Presidente
Regionale di Confartigianato Imprese Sardegna - che non è dovuto al
mercato, ma allo Stato e alle sue articolazioni. Ogni giorno, le
imprese devono letteralmente “rubare” tempo al lavoro per districarsi
dal labirinto di migliaia di atti normativi. Riconosciamo il lavoro
fatto, come per esempio nel caso del SUAP, per la maggioranza delle
attività produttive, e del SUAPE, per alleviare le “pene burocratiche”
alle imprese delle costruzioni, ma ancora non basta”.
Quello della burocrazia nostrana, che pone l’Isola al 6° posto
nazionale, dopo Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata e Puglia, è un
fardello descritto nel rapporto “Indice Confartigianato della
Burocrazia per regione”, realizzato dall’Osservatorio di
Confartigianato per le MPI.
Il dossier ha analizzato sette indicatori di pressione burocratica:
Tempi della giustizia civile, Tempi della giustizia tributaria, Tempi
di pagamento degli enti pubblici, Lunghezza delle code in uffici che
erogano servizi, Durata opere pubbliche, Corruzione ed Assenteismo per
malattia dei dipendenti pubblici.
La classifica attribuisce valori più elevati alle regioni con una
maggiore pressione della burocrazia sulle imprese e dove sono più
carenti le tutele dei diritti delle realtà produttive in campo civile
e tributario, le condizioni di accesso ai servizi, l’efficienza delle
imprese che gestiscono servizi pubblici locali, è di più bassa qualità
la governance pubblica ed è minore l’uso delle tecnologie digitali.
I
primi sei posti della classifica regionale del maggior peso della
burocrazia sono occupati da regioni del Sud e delle Isole. In generale
la ripartizione del Mezzogiorno presenta un valore dell’Indice della
burocrazia superiore del 48,2% a quello del Centro-Nord.
Nel dettaglio regionale il più alto valore è l’802,6 della Sicilia,
seguito dal 786,5 della Calabria, dal 725,4 della Campania, dal 678,1
della Basilicata, dal 673,9 della Puglia, dal 673,3 della Sardegna e
del Lazio con un valore dell’indice pari a 670,0. Complessivamente il
Mezzogiorno guida la classifica con un valore pari a 704,9 e stacca il
Centro con un indice pari a 572,7 seguito dal Nord-Ovest con 438,0
mentre il Nord-Est con 384,5, valore dimezzato rispetto al
Mezzogiorno, si afferma come la ripartizione dove la burocrazia è
relativamente meno limitante. Quindi, i primi sei posti della
classifica regionale sulla burocrazia sono occupati da regioni del Sud
e delle Isole.
“Il Burosauro, nonostante le buone intenzioni di ogni Governo,
nazionale o regionale appena insediato – prosegue Matzutzi – da sempre
ha trovato in Italia l’habitat ideale per sopravvivere e rigenerarsi,
anche attraverso l’accrescimento e la moltiplicazione delle competenze
delle Amministrazioni, degli Enti e di ogni pubblico ufficio.
A queste
problematiche poi si aggiunge la “burocrazia difensiva”, ovvero la
paura di sbagliare di un funzionario, dirigente o dipendente di fronte
all’interpretazione di una norma, che di fatto blocca o rallenta
tutto”.
Solo pochi anni fa, un calcolo dell’Osservatorio sulla burocrazia di
Confartigianato, stimò in quasi 31 miliardi di euro il costo della
burocrazia sopportato dalle imprese italiane, equivalenti a 2 punti di
PIL.
“Questo peso nel nostro Paese è molto più elevato rispetto alla media
dei Paesi dell’Unione europea – rimarca il Presidente – analisi
confermata anche dai dati di Eurobarometro della Commissione europea,
che evidenzia come nel 2017 la complessità delle procedure
amministrative sia stata ritenuta un problema nell’attività
dell’azienda dall’84% degli imprenditori in Italia, oltre venti punti
superiore al 60% della media Ue”.
Sulla complessità degli adempimenti burocratici e la conseguente
incertezza nello svolgimento dell’attività di impresa, pesa l’enorme
mole di leggi nel nostro Paese.
Una ricerca in “Normattiva”, il
portale della legge vigente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato, evidenzia che al 6 giugno 2018 sono vigenti 136.987 atti
normativi pubblicati negli ultimi cento anni, dal 6 giugno del 1918.
A tal proposito va evidenziato come l’Indice Confartigianato della
Burocrazia mostra una forte correlazione negativa con il PIL
pro-capite a valori correnti associando un maggiore peso della
burocrazia alle regioni – fenomeno prevalente in quelle meridionali –
con un minore reddito per abitante e generando una spirale di
burocrazia e bassa crescita.
“Di leggi anti-burocrazia ne esistono anche troppe – conclude
Matzutzi - bisogna soltanto applicarle, farle rispettare, controllarne
l’effetto e verificare il risultato percepito dalle imprese. Non c’è
bisogno di fare nuove leggi, bisogna solo far funzionare quelle che
esistono anche potenziando le competenze e l’“orientamento all’utente”
dei funzionari pubblici. Insomma, per abbattere questo mostro bisogna
semplificare la semplificazione”.