Una settimana intensa di incontri e dibattiti, una tavola rotonda e
una mostra fotografica sul passato industriale del nord ovest della
Sardegna. La Cisl di Sassari commemora il compianto leader Vincenzo
Saba - raffinato intellettuale, esponente e dirigente nazionale del
sindacato d’ispirazione cattolica - riflettendo sui temi che hanno
caratterizzato tanta parte del suo pensiero. L’iniziativa, in
collaborazione con l’associazione Vincenzo Saba, avrà come base
operativa la Camera di commercio di Sassari e si aprirà il prossimo
lunedì 22 ottobre per chiudersi venerdì 26. La mostra, invece, resterà
aperta e visitabile fino a sabato 27.
Il nutrito programma prevede una serie di incontri a cui prenderanno
parte sindacalisti, studiosi, esponenti politici, intellettuali e
rappresentanti di categoria, con l’intento di promuovere una
riflessione a più voci sul tema della crescita economica, sociale e
culturale del territorio e sul ruolo che anche il sindacato può avere
in questo processo di rinnovamento.
In questo contesto assume particolare significato la figura del
compianto Vincenzo Saba, uno dei principali protagonisti della storia
sindacale sarda e nazionale degli ultimi decenni, che ha dedicato la
sua vita professionale alla formazione dell’individuo, in particolare
dei giovani e dei lavoratori, lasciando un patrimonio di studi e
contributi importanti per raccogliere difficili sfide del nostro
tempo.
Una testimonianza, quella di Saba, ancora molto attuale per
comprendere la complessità di questo periodo storico travagliato,
rimarcando la necessità di favorire una più ampia riflessione sulle
potenzialità che il rilancio del settore industriale può rappresentare
in Sardegna attraverso una rivisitazione del ruolo che ha avuto negli
ultimi decenni.
Vicende che saranno raccontate anche in una bella mostra fotografica e
documentale: «Un sogno di una notte di mezza estate», che sarà
allestita alla Camera di commercio, incentrata
sull’industrializzazione di Porto Torres e sulla riscoperta della
memoria delle trasformazioni del territorio grazie a una carrellata di
immagini e documenti che vanno dagli anni Sessanta agli anni Novanta
del secolo appena trascorso.
In Sardegna, secondo l’Istat, dal 2001 il peso della manifattura sul
totale degli addetti è calato dal 12,5% al 9,6% (in Italia nello
stesso periodo si va dal 24,9% al 19,8%). Calo compensato, a livello
nazionale, da una maggiore presenza di industrie ad alto e medio
contenuto tecnologico (8,6%) mentre nell’isola si è rimasti intorno al
4,1%.
Inoltre, la quota delle imprese ad alto e medio contenuto
tecnologico è passata dal 14,3% all’8,9% del totale degli addetti
manifatturieri. A livello nazionale si è verificata un’evoluzione
opposta. Anche nei servizi si è avuta in Sardegna - secondo quanto
riferisce l’ultimo rapporto della Banca d’Italia sulle economie
regionali - «una leggera ricomposizione verso i comparti a bassa
intensità di conoscenza (dal 47,1 al 49,7%)». Nel 2017, secondo Banca
d’Italia «Il moderato aumento dell’attività economica si è associato a
una stabilizzazione dell’occupazione, dopo il calo osservato nel 2016,
e a una crescita delle ore lavorate per addetto, anche per il minor
ricorso agli strumenti di integrazione salariale. Hanno continuato a
diminuire le assunzioni con contratti a tempo indeterminato a fronte
di una crescita intensa di quelli a termine. Il tasso di
disoccupazione si è mantenuto costante su livelli superiori alla media
nazionale. Rispetto al dato nazionale e soprattutto a quello delle
regioni settentrionali, il mercato del lavoro sardo ha continuato a
essere caratterizzato da minori opportunità lavorative per gli
individui più qualificati».
Gran parte della produzione industriale sarda sembra interessata da un
processo marcato di involuzione.
La dimensione media delle unità
locali delle imprese tra il 2001 e il 2011 è rimasta ferma (2,9
addetti), dato confermato anche nel 2015, con Sassari al 2,8 e il dato
Italia al 3,5. Nel dettaglio le unità locali di imprese manifatturiere
sono di dimensioni superiori: 3,9 a Sassari e in Sardegna, 8,3 in
Italia. Si è registrata una modesta crescita dimensionale dei servizi,
soprattutto tra quelli a bassa intensità di conoscenza.
Va detto anche che il valore aggiunto per addetto (utilizzato per
misurare la produttività) in Italia è del 44%, mentre in Sardegna è
del 34,1%. Diminuita anche la dimensione media delle imprese
manifatturiere ad accezione di quelle operanti nei settori a bassa
tecnologia. Limitata apertura internazionale delle imprese sarde: la
media italiana delle imprese operanti nei mercati internazionali è
pari al 21, 9%, la media sarda è dell’8,6%. Quattro quinti delle
imprese sarde hanno come riferimento il mercato regionale. Tra il 2007
e il 2016 la quota di mercato mondiale delle esportazioni regionali,
valutata a valori correnti, è calata di circa il 45%, più che nel
resto del Paese. Fino al 2010 la diminuzione era stata inferiore alla
media italiana ma, nel periodo successivo, a fronte di un recupero
osservato a livello nazionale, tale quota ha mostrato un nuovo intenso
calo.
La scarsa presenza commerciale nei mercati lontani, che più
hanno contribuito alla crescita della domanda mondiale, ha continuato
a penalizzare le esportazioni regionali, ma un contributo positivo è
arrivato dai paesi «emergenti vicini».
Secondo Banca d’Italia «La struttura economica regionale si
caratterizza, rispetto alla media del Paese, per un peso maggiore del
settore agricolo e della pesca. Secondo i dati dell’Istat nel 2016,
ultimo anno per il quale sono disponibili i Conti territoriali, il
comparto primario assorbiva il 4,7 per cento del valore aggiunto
regionale e impiegava più di un decimo delle unità di lavoro, dati
entrambi superiori a quelli osservati nella media nazionale (2,0 e 5,2
per cento)».
In base agli ultimi dati disponibili provenienti dall’Osservatorio sul
mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate (OMI), le transazioni
di immobili residenziali sono cresciute a fine 2017 del 5,5%, in linea
con l’andamento medio nazionale; negli ultimi anni, tuttavia, la
dinamica dei prezzi è rimasta debole.
Tutto questo non può che portare alla conclusione che la Sardegna può
cambiare solo se interessata da una rivoluzione «copernicana» delle
strutture produttive. La politica dica come e quando intende indicarne
almeno le premesse.
«Dalla crisi si esce con un patto tra le forze sociali, economiche,
politiche, istituzionali – conclude infatti Pier Luigi Ledda,
segretario generale della Cisl di Sassari – occorre mettere in campo
un impegno comune ma straordinario per lo sviluppo e la crescita del
nord ovest della Sardegna, a partire dall’occupazione, in particolare
quella giovanile».