“Ha vinto la Giustizia, e non abbiamo mai avuto dubbi di essere nel
giusto”.
A dichiararlo è Federica Fanari, l’imprenditrice oristanese
protagonista, insieme agli investitori americani, della brutta
esperienza all’aeroporto di Elmas, dove lo scorso 1 luglio non gli è
stato permesso di entrare a Cagliari dopo essere atterrati.
“Il Tar Sardegna ci ha dato ragione, ma resta la pessima figura fatta
da tutta l’Italia su questa storia, in modo particolare siamo rimasti
spiazzati dal comportamento tenuto dal Ministero degli Interni - dice
l’imprenditrice.
I miei amici americani, come me, sono rimasti molto
delusi.
Per questo mi aspetto delle scuse ufficiali da parte delle
autorità competenti, e spero tanto possano arrivare prima possibile”.
La Fanari conferma che i passeggeri atterrati quel primo luglio a
Cagliari, avevano tutte le autorizzazioni necessarie per entrare in
Italia: “E invece, appena sbarcati all’aeroporto, ci hanno preso i
nostri passaporti e ci hanno lasciato agli arrivi internazionali fino
alle 16e30, quando poi ci hanno dato una stanzina dove abbiamo quanto
meno potuto sistemare i nostri figli, tutti bambini con un’età
compresa tra i 7 mesi e i 5 anni.
D’altronde la Polizia presente
all’aeroporto ha interpretato sulla base di indicazioni del Ministero
degli Interni”.
L’imprenditrice è molto delusa del trattamento ricevuto: “Siamo stati
rispediti indietro a notte fonda, e nessuno ci ha ascoltato neanche
quando abbiamo chiesto di poter restare una notte a dormire a
Cagliari, soluzione che sarebbe stata senza dubbio la più logica.
Ci
siamo pure offerti di fare i tamponi, e abbiamo fin da subito chiarito
che eravamo pronti a sottoporci all’isolamento fiduciario.
Niente da
fare, non hanno sentito ragioni. Davvero assurdo”.
L’imprenditrice ci tiene anche a ringraziare gli avvocati, e tutte le
persone che si sono mosse per tutelare i loro diritti: “I legali hanno
cercato fin da subito di sbrogliare questa situazione.
Li ringraziamo
tanto, così come ringraziamo le persone che si sono attivate per noi,
e che senza neanche conoscerci hanno fatto il possibile per darci una
mano, perché avevano capito che stavamo subendo un grave ingiustizia”.