«Dignità e speranza sono le due colonne d’ercole con le quali deve
essere trattato il tema del carcere». Lo ha sostenuto venerdì sera
Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale,
nel corso del convegno a tema “Costituzione e carcere” realizzato per
l’International Gramsci Festival, in un luogo altamente simbolico come
la Torre Aragonese di Ghilarza, una volta adibita proprio a luogo di
detenzione.
L’ex ministro della Giustizia ha parlato con parole semplici e
profonde di fronte a un pubblico numeroso (anche in piedi), non
facendo mistero dell’amarezza per il clima con il quale si stia
trattando in Italia il tema Giustizia.
Nel ricordare i contenuti del film-documentario di Fabio Cavalli, la
cui proiezione stasera (14 dicembre) chiuderà l’intera kermesse, Flick
ha affermato che, proprio ora che la Corte Costituzionale ha deciso di
visitare le carceri entrando dalla porta, la Costituzione sta
rischiando di uscirne dalla finestra.
“Chi dice di volerla cambiare, spesso non l’ha nemmeno letta – ha
scherzato il giurista. Secondo Flick, si sta rapidamente passando dal
principio per cui “la legge non ammette ignoranza”, a quello per il
quale “l'ignoranza non ammette legge”.
E la politica in questo ha una
grossa responsabilità.
Il tema carcere andrebbe trattato con molto più equilibrio: «Se da un
lato anche il peggior delinquente una volta condannato ha diritto di
vedere rispettata la propria dignità, dall’altro, se viene meno la
speranza di un futuro libero, si passa dalla pena alla tortura».
Più volte è stato citato il terzo comma dell’articolo 27 della
Costituzione (le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato), ma è stato anche specificato quanto sia doveroso dare
attuazione anche agli articoli 2 e 3, che prevedono pari dignità
sociale anche per i detenuti.
Nella visione di Flick il tema carcere presenta tre paradossi. Il
primo è quello dell’ergastolo, perché se la pena non finisce si leva
la speranza e non si consente la rieducazione. Il secondo riguarda il
sovraffollamento, che rende la vita impossibile. Basti pensare che la
Corte di Strasburgo ha condannato due volte l’Italia per trattamento
inumano dei detenuti.
L’ultimo paradosso è rappresentato dal fatto che – nonostante la pena
di morte sia stata abolita anche dai codici militari – in carcere si
continui a morire. E si muore talvolta per violenza subita ma molto
più spesso per suicidio, sia da parte dei detenuti che del personale.
Nel dirsi soddisfatto per l’elezione di una donna a presidente della
Corte Costituzionale, per la prima volta nella storia, il giurista ha
elencato tra i vari esempi di non parità sociale gli ebrei, i migranti
e le donne, aggiungendo a questi la categoria dei detenuti.
Durante l’incontro, moderato dall’avvocato Antonello Arru, sono
intervenuti anche Antonello Spada, presidente dell’Unione Regionale
degli ordini forensi della Sardegna, Aldo Luchi, presidente
dell’Ordine degli avvocati di Cagliari e Giuseppe Conti, presidente
dell’Ordine degli avvocati di Sassari.
«Credo che nel momento in cui si riapre la casa di Gramsci, una
persona che in carcere ha vissuto e ha sofferto, ed è morta non appena
è uscita, in nome della libertà e delle proprie idee – ha affermato in
conclusione Flick – sia importante riflettere su queste tematiche per
capire quanto oggi sia urgente riaprire un dibattito sul carcere, che
sembra essere stato abbandonato e dimenticato di fronte alle esigenze
della sicurezza».
L’IGF è organizzato dalla Fondazione Casa Museo Antonio Gramsci e dal
Comune di Ghilarza, con il supporto di RAS, Fondazione di Sardegna e
ISRE, e il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, l’ICOM, la FIHRM, l’Ambasciata del Sudafrica in Italia, e
la collaborazione di numerosi enti, istituzioni e associazioni.