Una semplice mozione parlamentare che chiarisca che in Italia non si
potranno mai aiutare a suicidarsi le ragazze come Noa e che affermi
che i medici o qualsiasi altro soggetto non godranno dell’impunità se,
anziché curare, forniranno aiuto al paziente che chiederà di porre
fine alla propria vita. Non vogliamo che l’Italia diventi come la
Svizzera, non vogliamo che un paziente sia fatto morire di sete perché
ritenuto non guaribile. Questi sono alcuni dei passaggi della lettera
inviata dal Popolo della Famiglia a dieci parlamentari per sollevare
la questione impellente riguardante il reato di aiuto al suicidio in
merito alla quale il Parlamento è stato chiamato a pronunciarsi dalla
Corte costituzionale il prossimo 24 settembre. L’appello deriva dal
“totale silenzio nel dibattito politico” da cui è accompagnata la
questione e in conseguenza del quale è stato chiesto “ad alcuni
deputati e senatori che si facciano promotori di una mozione
parlamentare che fermi la possibile depenalizzazione dell’aiuto al
suicidio.
In Italia, aiutare una persona a suicidarsi, deve rimanere
un reato perseguibile per legge, sottolinea il Popolo della Famiglia.
Siamo preoccupati dello scenario giuridico che si sta delineando con
la mancanza di un esplicito pronunciamento del Parlamento, una
situazione che causerà un capovolgimento del nostro ordinamento che ha
sempre privilegiato la cura della persona ed il rispetto per la vita.
Chiediamo una semplice mozione parlamentare, una mozione che affermi
che i medici non godranno dell’impunità se, anziché curare, forniranno
un aiuto a morire al paziente. L’Italia non aprirà le porte al
business delle cliniche private come in Svizzera e non lascerà morire
di sete un paziente perché ritenuto non guaribile. Chiediamo ai
parlamentari quel gesto di coraggio che molti attendono.