Ma il problema è veramente Totò Riina in Sardegna?

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Se lo chiede in un intervento Salvatore Marino, esponente politico della sinistra, già assessore provinciale e attuale presidente della Secal di Alghero.

  "Pino Arlacchi, noto esperto di cose di mafia, ha detto due cose negli ultimi giorni. Partiamo dall’ultima: bisogna fare in modo e lottare strenuamente perchè né Totò Riina né altri boss in regime di 41 bis siano trasferiti in Sardegna. Ha sostenuto questa tesi con passione, anche con una certa veemenza, ed il mondo politico e l’opinione pubblica sarda si è giustamente schierata per il no.

Ritengo, personalmente, che la motivazione più plausibile, più convincente, sia quella di evitare che la Sardegna diventi terra di ospitalità, in regime di esclusivo e sconcertante monopolio, per decine e decine di boss mafiosi. Lo Stato Italiano, generalmente assente e inadempiente nei confronti dei sardi per tante altre problematiche, si ricorda all’improvviso che la nostra Regione può diventare un utile territorio di collocamento per criminali della peggior specie. E questo non può essere accettato. Non sono d’accordo invece con le ipotetiche e nefaste conseguenze che scaturirebbero dalla presenza in terra sarda di Riina o di altri criminali di rango.

 Si legge nei giornali e sul web di clan familiari che si trasferirebbero “armi” e bagagli nelle nostre città praticando ciò che l’iconografia classica prevede: estorsioni, spaccio, traffico di stupefacenti, magari aiutati dalla possibile alleanza con la criminalità locale. Tutto questo penso sia piuttosto fantasioso. Tra l’altro lo esclude lo stesso Arlacchi che in un suo libro sostiene come la criminalità sarda sia impermeabile alle logiche, ai linguaggi, alle metodiche mafiose. Argomenta la sua tesi con una sorta di resistenza antropologica e culturale dei sardi verso le forme di criminalità organizzata. Inoltre ritiene che siano animati da un senso di auto-giustizia così forte da mal sopportare la passività, la rassegnazione e l’umiliazione che affliggono o che subiscono coloro che abitano i territori di mafia.

Infine se fosse vera la relazione che prevede che nella città che ospita un boss mafioso aumentano esponenzialmente le attività criminali, dovremmo immaginare che Parma, nel cui carcere è detenuto Provenzano, sia diventata una sorta di piccola Chicago. Pertanto se si ritiene che la mafia sia un problema nazionale si distribuiscano i detenuti in regime di 41 bis in maniera proporzionale nelle carceri di tutta Italia. Una loro collocazione nei rispettivi territori d’origine, quella si, avrebbe conseguenze devastanti Ma Pino Arlacchi qualche giorno fa ha anche detto un’altra cosa e cioè che la trattativa Stato-Mafia è una bufala. Afferma: "La relazione Pisanu sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia del 1991-92 sgonfia d'un colpo il pallone dell'inchiesta della Procura di Palermo riducendo la portata di quei fatti alla loro effettiva dimensione.

 Non ci fu alcun patto scellerato tra i vertici dello Stato da un lato e i vertici di Cosa Nostra dall'altro". Ora, a parte che le conclusioni della Commissione parlamentare antimafia (per la precisione la relazione di Pisanu) non sono state ancora votate e non sono necessariamente il verbo da cui ciascuno debba attingere, non si riesce a capire perché Arlacchi escluda a priori una trattativa tra pezzi dello Stato e mafia. Egli argomenta sulla base di certezze granitiche, evoca (ma questo lo fanno in tanti, sembra quasi un vezzo) la sua amicizia e il lavoro svolto insieme a Falcone e Borsellino, bacchetta la Procura di Palermo rea di aver aperto un processo inutile. La linea del Professor Arlacchi è condivisa da diversi opinionisti di diversa appartenenza politica.

Ma la domanda è: perché si vuole rendere l’idea che la Procura di Palermo, il GUP, gli investigatori che hanno condotto le indagini, siano ossessionati dall’idea della trattativa? Perché non si vuole che magistratura inquirente e organismi giudicanti facciano serenamente il loro dovere? Perché i fatti appurati in passato, secondo cui pezzi dello Stato e mafia hanno avuto regolari interconnessioni, non possono essere considerati atti preparatori della trattativa finale tra Stato e mafia? Provengo da Trapani, la provincia più mafiosa d’Italia e regno di Matteo Messina Denaro. E’ la provincia con il più alto numero di sportelli bancari per abitante, che è una strana anomalia per un territorio che gli indicatori economici descrivono come depresso.

E’ la provincia nella quale sono pressoché inesistenti il fenomeno estorsivo e la microcriminalità che sono sempre’ state considerate attività poco dignitose da una mafia che si è sempre caratterizza per i sontuosi affari riguardanti le grandi opere pubbliche. Nel territorio e’ attiva una mafia che investe nello smaltimento dei rifiuti e nelle energie rinnovabili. Qualche mese fa ad esempio hanno sequestrato beni per un miliardo e mezzo di euro (l’equivalente di una manovra finanziaria) ad un imprenditore del settore eolico sconosciuto ai più. E ancora: a Trapani fu scoperta negli anni ottanta (ma in molti lo hanno dimenticato) la loggia massonica coperta Iside2 della quale facevano parte massoni, mafiosi, politici, burocrati di stato, uomini dei servizi segreti, banchieri e professionisti.

Negli stessi anni il Tribunale di Trapani era molto più che un porto delle nebbie e il Sindaco della città capoluogo poteva impunemente affermare che la mafia era una fantasia dei giornalisti. In questa provincia non si ricorda un solo mafioso che abbia deciso di pentirsi ed è anche quella in cui si spara poco e solo per eliminare personaggi scomodi, quali in passato il Giudice Ciaccio Montalto e Mauro Rostagno. Ma c’è qualcosa di più inquietante nella mafie in generale e in quella siciliana in particolare e cioè la saldatura, che rende un unico indistinto, tra mafia, istituzioni, politica, mondo dell’imprenditoria e professionisti. La chiamano “la mafia grigia” ed è dedita in maniera esclusiva al mondo degli affari restando in prudente immersione. L’opzione militare, quella che prevede l’uso delle armi, è una eventualità remota almeno in questo contesto storico.

 E’ una mafia che ha una capacità di penetrazione nei territori del resto d’Italia inimmaginabile, servendosi delle tecniche finanziarie più sofisticate e con un paravento di legalità formale difficile da scardinare. Ha a disposizione immensi capitali che ricicla in attività lecite ovunque se ne presenti la possibilità e probabilmente anche in Sardegna già da un po’ di tempo. Matteo Messina Denaro? Verrà catturato quando sarà il momento, in Sicilia lo sanno tutti. La politica? Viene usata e tenuta sotto ricatto. Le ultime legislature dell’Assemblea regionale siciliana hanno visto inquisiti per concorso esterno in associazione mafiosa i presidenti Cuffaro e Lombardo più decine tra assessori e consiglieri regionali.

 Un ex sottosegretario agli interni ed attuale senatore andrà a breve a giudizio per lo stesso reato. E allora come si può ragionevolmente escludere, come fa Pino Arlacchi, che una organizzazione criminale ormai così articolata, consolidata, camaleontica, potente e con una capacità di ricatto impressionante, possa aver avuto la forza di inchiodare lo Stato ad una trattativa? Soprattutto se lo faceva da una posizione di forza dopo aver messo in campo l’opzione stragista? Io invece con molta modestia spero, come la stragrande maggioranza degli italiani e senza le certezze di senso contrario di cui si fa portavoce il Professor Arlacchi, che la Procura di Palermo possa essere messa nelle condizioni di far luce sul mistero più torbido della storia della Repubblica italiana". Salvatore Marino